“Boom”. Dalla tribuna dove ero seduto, il tuono si era sentito distintamente. Quel tuono e, un secondo dopo, un boato. Al tredicesimo del primo tempo Giampaolo Pazzini aveva scaraventato in rete un lungo traversone di Stankevicius, bissando il primo gol di testa e portando la Sampdoria sul 2-0, ribaltando di fatto il 3-1
La Samp è la stessa dell’anno prima, un nucleo coeso di italiani al servizio del genio di Cassano e del cinismo di Pazzini che, dopo l’esilio coatto intimato dalla Juve a Trezeguet, è, in Italia, l’attaccante più forte di tutti in area di rigore. Sono rimasti quasi tutti i protagonisti della stagione precedente, nonostante le richieste e le offerte, sono tutti ancora a Genova a caccia di un sogno: disputare la Champions League per e con la Sampdoria.
Quasi tutti, dicevamo, perché la Sampdoria ha perso tre pedine fondamentali : Del Neri e Marotta sono andati a fare grande (…) la Juve portandosi dietro il portiere Storari, l’assicurazione contro la schiena malandata di Buffon.
Non è una cosa comune che una squadra perda allenatore e direttore generale contemporaneamente. E’ facile pensare che queste scelte abbiano creato alla Samp un “vuoto di potere” nei mesi decisivi per la pianificazione della stagione successiva. Chi sarà il prossimo allenatore? e, soprattutto, chi deciderà chi lo sarà? La rincorsa al quarto posto rimanda queste domande a data da destinarsi e l’ebbrezza dell’obiettivo raggiunto, grazie ad una epica vittoria all’Olimpico a poche giornate dalla fine, viene smaltita male e in troppo tempo.
Per la panchina viene scelto Mimmo Di Carlo, centrocampista dell’ultimo grande Vicenza e allenatore specialista della difesa (ora si chiama fase di non possesso) curata già dalla partenza (prima fase!) dell’azione avversaria, grazie al pressing di trequartisti finti come gli occhi azzurri di Sterling St Jacques tipo Giampaolo Pinzi.
In porta viene sbattuto Curci, scartato dalla Roma e reduce da una stagione al Siena(retrocesso) dignitosa, ma non eccezionale.
Il resto è usato sicuro ma non nel senso deteriore del termine: la coppia di centrali Lucchini Gastaldello, per esempio, è una delle migliori d’Italia e la migliore in assoluto di quelle composte solo da italiani, a centrocampo Palombo garantisce corsa e carisma, mentre ci si aspetta il salto di qualità da Poli, centrale campione d’Italia con la primavera di Fulvio Pea qualche anno prima, che ha fatto intravvedere, nel suo primo anno di Serie A, lampi di classe associati ad una buona tenuta fisica e temperamentale. Le fasce hanno interpreti mediocri, session men che, non più esaltati dal gioco di Del Neri, non si sa se avranno il rendimento dell’anno prima, ma certo non sono giocatori di cui ci si deve “preoccupare”.
L’inizio è da paura: i preliminari di Champions. A Brema, contro il Werder, una squadra temuta ma che di lì a poco getterà la maschera, la Samp subisce, sembra cadere ma viene salvata da un grandissimo gol nel finale del bomber Pazzini, che alimenta le poche speranze di entrare nella fase a gironi, la Champions vera, quella che ti può portare in casa in vari Messi, Ronaldo, Rooney.
Per la partita di ritorno Marassi è esaurito ed eccitato al punto giusto. Il boato con il quale il pubblico genovese accoglie la famosa “musichetta” della champions fa quasi tenerezza, mi siedo al fianco di T.A.F.K.A.L. (the athlete formerly known as Lanna) e mi godo la partita tranquillamente fino a quel BOOOM che mi ricorda che sto vedendo un calcio di qualità Champions.
A pochi minuti dalla fine della partita Cassano fissa il risultato con un colpo dei suoi, tre a zero nel tripudio generale. Gli attacchi del Werder, guidati da un impressionate Marin, non sembrano avere la cattiveria necessaria fino a che, proprio nell’ultima azione, Rosenberg con un diagonale tanto preciso quanto beffardo, manda la partita ai supplementari.
Questo gol non viene preso sul serio, proprio come quella frase della tua ex fidanzata che hai capito solo dopo, a distanza di mesi, troppo tardi comunque. La rete di Rosenberg è l’inizio della fine, non la fine di un sogno, l’inizio della fine, ma in quel momento nessuno se ne rende conto.
Nei supplementari il Werder abusa dei resti di una Sampdoria inaridita nel fisico e nella mente, per i blucerchiati le porte del paradiso non si aprono, si aprono invece quelle dell’Europa League che, chissà perché, per le squadre italiane è competizione che ben si può paragonare al purgatorio, qualcosa che si deve fare, ma non si vorrebbe.
Perso il grande stimolo europeo, la Samp vivacchia abulica, per vedere i lampi di Cassano occorre fare la danza della pioggia e ancor più rari sono i gol di un Pazzini che sembra aver dimenticato le coordinate della porta.
Centroclassifica di quelli tristi, troppi punti separano la Samp dal rinnovare sogni europei, troppi punti separano la Samp dalla zona calda, quella in cui devi iniziare a rimboccarti le maniche e darti da fare.
Con l’arrivo dell’inverno la situazione precipita, Cassano, dopo aver subdorato un rinnovo del contratto con ritocco nella direzione sbagliata, litiga pretestuosamente con il presidente Garrone, viene messo prima fuori squadra e poi regalato al Milan, Pazzini, a questo punto, non può essere trattenuto in nessun modo ma viene venduto all’Inter, in una operazione che sa di fallimento economico e tecnico.
La dirigenza della Samp è allo sbando, Tosi, che aveva mandato il curriculum anche all’Ikea, ha sostituito il defenestrato Gasparin ed è stato turlupinato in sede di mercato invernale uscendone, appunto, senza Cassano e Pazzini con in mano una coppia di nove (Maccarone e Macheda) e un kicker traballante (Biabiany). Garrone capisce di aver sbagliato - anche se non sa ancora quanto - e non vuole vedere più la testa enorme e quadrata del ds nè in sede nè a Bogliasco. La Samp è un corpo privo della testa, ha ancora pochi passi a disposizione prima di stramazzare al suolo.
Eppure, la nuova Samp non è poi malissimo sulla carta, certo meglio di tutte le altre squadre che la inseguono in classifica fatta eccezione del Parma, ha un solo problema, non fa mai gol. M-A-I.
Una tifoseria abituata agli arabeschi del “Marziano” Chiorri, ai ricami di “Bobby Gol” Roberto Mancini, con l’immagine dei nuovi gemelli del gol ancora impressa sulla retina, tipo finale di “Quattro mosche di velluto grigio”, si deve aggrappare ai miseri rientri sul destro di un Guberti qualsiasi. Neanche una punizione di Ortega, una rovesciata di Flachi, non c’è più niente, il tifoso inizia a chiedersi se va allo stadio a vedere una partita di calcio o a prendersi un paio di birre con gli amici, la risposta, come quasi tutte le risposte, è in una pinta.
Il lento e costante fenomeno dell’erosione colpisce la compagine blucerchiata, che vede il “gruppone” di coda farsi sempre più vicino, le squadre implicate nella corsa per retrocedere si spingono fra loro ad una velocità che per la Samp è proibitiva, quanto mancano adesso le parate del miglior portiere della stagione 2009/10, quello Storari che, alla Juve, arriva addirittura a mettere in discussione il posto da titolare di Buffon.
Don't panic, don't panic..Ok, panic! Di Carlo non riesce a raddrizzare la biga, a Genova qualcuno trova il libro dei morti, legge parole proibite e riporta in vita lavorativa Cavasin, reduce da un esonero nel campionato Svizzero!
I risultati sono quelli previsti da tutti: una serie di sconfitte vergognose, una squadra senza un’idea senza una certezza, smarrita. E dire che il calendario è uno dei migliori, tutti gli scontri diretti in casa, basta vincerne un paio. Ma dopo le pesantissime sconfitte casalinghe contro Parma, Cesena e Lecce arriva anche l’inutile pareggio contro il Brescia, i tifosi blucerchiati, che colorano speranzosi tutte le domeniche un Marassi sempre vestito a festa, sono attoniti. Adesso lo scenario è apocalittico, manca solo il tumbleweed che rotola sul campo. La Sampdoria deve ora affrontare il derby contro un Genoa alla ricerca di un senso per la propria stagione deprimente, i genoani poi, oppressi da lustri vissuti all’ombra dei cugini, vogliono pestare quelle dita che tengono la Samp sospesa sul baratro; se possibile, la vittoria pomeridiana del Lecce in casa contro il Napoli rende la situazione ancora più critica: vincere il derby in posticipo o morire.
I discorsi dei doriani in giro per la città sono cambiati, non si parla più di calendari, tabelle, pronostici, si parla solo degli errori che hanno portato a questa, imminente, incredibile retrocessione.
La paura che siano proprio “le merde” a mandarti giù rende insostenibile la situazione e insopportabile l’attesa.
A vent’anni dallo storico scudetto dei ragazzi di Boskov, ultima spruzzata di colore in un albo d’oro popolato da li in poi dalle solite note, il Doria ha ben poco da festeggiare…
I più vecchi sanno che questa volta non si può accusare lo sfortunato infortunio di Montella, il gol sbagliato da Catè (!) a San Siro contro il Milan di Zac San, o, ancora, la scellerata decisione di Trentalange di fischiare quel rigore su Simutenkov, trasformato da Klas Ingesson per il Bologna. Questa retrocessione è stata cercata, conquistata e meritata.
Il registro degli indagati è zeppo di nomi, ma è il presidente Garrone, a 11 mesi dall’essere portato in trionfo, che viene accusato dalla piazza di aver smontato il giocattolo senza avere in mano pezzi nuovi e nemmeno istruzioni per rimontarlo.
Oltre al medicarsi le scottature causate dallo scudetto conquistato da Cassano con il Milan e le raffiche di gol segnati dal “Pazzo” con la casacca dell’Inter, i tifosi della Samp se la prendono anche con Curci, che paga, non tanto una stagione fallimentare, quanto il paragone con la precedente annata monstre di Storari. In attacco Big Mac gira a vuoto, Macheda è irritante nella consapevolezza della sua permanenza ad interim e del suo sicuro ritorno sotto le ali di Sir Alex Ferguson, poi ci sarebbe Biabiany, che non farebbe così male se non fosse schiacciato dalla responsabilità di essere “quello che ci hanno dato per Pazzini”. Nelle more è scomparsa pure la stellina Poli, che la retta via sembra aver smarrito.
A rendere la situazione degna di una piece di Harold Pintera arriva anche una conferenza stampa di Cavasin (che ha perso pure quel baffo da “figu” che lo rendeva simpatico) nella quale il tecnico si definisce un fenomeno e un mago della panchina, nonostante una media punti da far riconsiderare con maggior rispetto la breve, benché indimenticabile, conduzione di Maifredi del Brescia edizione 94/95.
La sceneggiatura è stanca e scontata come quella di un cine panettone, il Genoa si porta a casa il derby al 93esimo e, sette giorni dopo, i protagonisti si ritrovano tutti nella stessa stanza, a dover spiegare l’un l’altro equivoci e tradimenti ben chiari, invece, agli spettatori. A Marassi, contro un Palermo che ciondola stancamente da quattro mesi, la Samp si arrende ai suoi demoni, i blucerchiati tornano in serie B in una delle retrocessioni più incredibili della storia.
Sebbene già il Chievo avesse abbinato preliminare di Champions e retrocessione e pure la Lazio ci fosse andata vicino, quelle stagioni erano partite subito male, la Samp, invece, si è trovata in acque burrascose senza essersi preparata minimamente e, anzi, nell’ultimo attracco su terra ferma, ha ben pensato di liberarsi degli inutili giubbotti di salvataggio.
Adesso non puoi parlare ad un doriano di calcio, sentiresti il drugo Lebowsky avvertirti: “sono dei nichilisti, non credono in niente” perché non puoi credere in niente se la squadra che ha battuto l’Inter del Triplete e vinto all’Olimpico contro una Roma che sembrava inarrestabile, la stessa squadra che si è fermata a quaranta secondi dalla Champions League, adesso si trova in serie B.